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Centro Yoga Millepiedi

Borgo Felino, 20 - 43121 Parma PR 

Intervista a Gabriella Cella

2025-04-06 00:00

Paola Campanini

Yoga, yoga, yoga ratna, interviste, ri-spirazioni,

Intervista a Gabriella Cella

Gabriella Cella: «Io, femminista, ho portato la donna nello Yoga»

Piacenza 24 marzo 2025

Ho incontrato Gabriella nel 1980 in occasione di un suo seminario a Parma sullo yoga per gestanti.
Da allora sono sua allieva; nel corso degli anni si è consolidato anche un affettuoso e prezioso
rapporto di amicizia.

Grazie Gabriella per questa intervista, è un grande regalo di generosità da parte tua e un grande
onore per me.
Oggi sei una Maestra famosa e riconosciuta. Sono tantissimi gli insegnanti che seguono il metodo
yoga Ratna da te ideato, moltissime le persone che ti conoscono attraverso i tanti libri che hai
scritto e i seminari che hai tenuto.
Quello che ti chiedo oggi è di ritornare un po' indietro negli anni per raccontare chi era Gabriella
Cella quando ha incontrato lo yoga, come hai iniziato a praticarlo e cosa ti ha fatto appassionare a
questa disciplina
Siamo negli anni 70. Io provengo da una famiglia proletaria, mio padre aveva rotto con la sua
famiglia di origine ed eravamo davvero molto poveri. Sembra strano oggi parlare di proletariato,
ma questa condizione ha fortemente segnato tutta la mia storia. Ero molto attiva come
femminista, una delle prime a Piacenza e a Pavia dove avevo organizzato i primi gruppi di donne
autogestiti, quelli che poi hanno portato alla nascita dei consultori e alle lotte per il divorzio e
l’aborto.
Che lavoro facevi? E come hai incontrato lo yoga?
Ho fatto tanti lavori come operaia e anche come disegnatrice e come impiegata. Ho studiato
all'istituto di belle arti, ero molto brava a disegnare e a quei tempi avrei voluto fare l’artista.
L’incontro con lo yoga è stato del tutto fortuito: avevo trovato un lavoro nell’ambito della moda in
un maglificio dove mi avevano assunta come indossatrice. Il mio principale era un allievo di Jean
Klein e di Carla Perotti e un giorno passando davanti ad un'edicola ha chiesto se avevano una
rivista di yoga. Non avevo mai sentito parlare dello yoga e davanti a quell’edicola scattò in me il
desiderio di capire cosa fosse. Ho incominciato così a leggere dei testi di yoga e ad interessarmi
all’Oriente.
Allora avevo molti disagi fisici, una schiena messa male, forti mal di testa e problemi al fegato.
Incuriosita dallo yoga e leggendo dei suoi possibili benefici, ho deciso di affrontare le mie
problematiche fisiche in modo diverso da quello tradizionale. Sapevo che a Piacenza c’era una
giovane avvocatessa che dava lezioni di yoga, le andai a parlare e mi prese come allieva. Fui
conquistata dalla pratica che proponeva, molto impegnativa fisicamente e iniziai non solo a
seguire le sue lezioni ma anche a praticare da autodidatta molto intensamente. Alla mattina
prestissimo prima del lavoro facevo le pratiche di purificazione (pulizia dei denti, della lingua e
delle narici) poi tanti saluti al sole seguiti da posizioni ardite. Poi andavo al lavoro.
Ricordo che il mio capo aveva una grande scrivania con l’imbottitura in similpelle. La tenevo molto
in ordine e pulita; quando lui non c’era e io ero in pausa pranzo diventava il mio spazio per la
pratica. Praticavo sempre, non appena mi era possibile.
Come hai iniziato ad insegnare?
Ho iniziato a insegnare al gruppo delle mie amiche femministe di Piacenza e di Pavia. Ero la loro
leader e loro accettavano di buon grado tutto quello che proponevo. Quando iniziai ad insegnare
mi dedicai ad uno “yoga al femminile” sperimentando innanzitutto su di me e sulle mie allieve i
cambiamenti prodotti dalle asana. Solo in anni successivi ammisi anche gli uomini ai miei corsi.
Nel 1976 incontrai Patrian che fondò una delle prime scuole di formazione insegnanti yoga a
Milano, mi iscrissi alla sua scuola, a un certo punto lui smise di guidare la pratica e incaricò me di
farlo. In quegli anni Patrian chiamò in Italia tanti Maestri indiani e fu grazie a lui che conobbi
Swami Shankarananda della Vedanta Forest Academy di Rishikes, che mi colpì profondamente. Fu
allora che decisi di lasciare tutto e andare in India per seguire il suo insegnamento
Tu sei stata una delle prime donne a fare da sola lunghi viaggi in India. Cosa vuoi raccontare di
quella esperienza che hai descritto molto bene nei tuoi racconti “L’India del sorriso”?
Era il 1979, lavoravo in una fabbrica di mattonelle, ho deciso di licenziarmi, lasciare tutto e con la
liquidazione andare in India. Allora c’era un biglietto speciale che durava 35 giorni poi dovevo
uscire e rientrare. Per fortuna i miei genitori erano giovani e mi aiutavano a tenere mio figlio
mentre io andavo e tornavo dall’India.
Io volevo raggiungere il mio Maestro Shankarananda a Rishikesh ma arrivata all’ashram mi
dissero che il Maestro in quel momento viveva in Sud Africa. Inoltre come donna non potevo stare
all’ashram e quindi trovai alloggio a qualche chilometro di distanza. Era la stagione dei monsoni,
camminavo a piedi sotto la pioggia e arrivavo bagnata alla lezione, dove si praticava uno yoga
massacrante e dove mi sentivo “isolata” e dai miei compagni di corso, tutti maschi figli di brahmini
che non mi accettavano in quanto donna . Dopo un po' di giorni nonostante il mio impegno e
determinazione ho comunicato allo Swami Krishnananda che sarei andata via. Allora lui
impietosito mi trovò un posto per dormire dalle monache che vivevano nell'Ashram. Così frequentai
tutte le lezioni e presi il diploma. Sono tornata molte altre volte in India e non ho mai avuto
problemi. La ragione è anche che io vivevo scalza, non avevo bagaglio e mi vestivo come le donne
indiane, mi presentavo, ed ero, come una pellegrina.
E’ in quell’India autentica, meno violenta di oggi, non contaminata dal turismo che ho potuto
attingere alla fonte dello yoga.
Sono molto contenta di aver fatto questa esperienza irripetibile, talmente tanto particolare che
addirittura oggi mi sembra di aver attraversato un sogno.
In quegli anni hai aderito alla Federazione Italiana di Yoga?
Si ma solo all’inizio. Ricordo che ci fu un momento di grande conflittualità interna alla Federazione;
mi arrivò una lettera da cui si capiva che c’era una frattura fra diverse correnti (in effetti poi ci fu
una scissione). Cestinai la lettera e non mi iscrissi mai più a nessuna Associazione. Non è nella mia
natura. Anche la mia scuola Yoga Ratna non prevede nessuna forma di adesione o tesseramento.
Il tuo primo libro, pubblicato nel 1982 è stato “yoga e salute” un tascabile Bompiani che poi ha
avuto un successo clamoroso ed è stato ripubblicato in tante edizioni.
“Yoga e salute” è stato il mio primo libro, ancora non avevo messo a punto quello che poi sarebbe
diventato lo Yoga Ratna. Ma per la prima volta erano presenti indicazioni e riferimenti al
femminile, al periodo del ciclo e a disturbi ad esso legati. Infatti più approfondivo la pratica più
sentivo cosa producevano le asana su di me e che effetti profondi avevano nel mio corpo di donna.
Inutile dire che come femminista e come donna non accettavo il fatto che lo yoga fosse declinato
solo al maschile, tutti i manuali e tutte le pratiche venivano proposte come se chi praticava fossero
solo uomini. Era necessario ribaltare l’orizzonte e porre attenzione al mondo femminile. Ho
studiato, sperimentato su di me e sulle mie allieve e così ho individuato tutti gli effetti che le asana
producono in relazione al ciclo mestruale, alla gravidanza e alla menopausa. Evidenziando le
pratiche utili per ogni circostanza, le cautele da adottare e le controindicazioni di alcune asana.
Quando è nato il tuo interesse per il mondo del simbolo e quando hai messo a punto il metodo
Yoga Ratna?
La svolta, quella che mi ha portato ad ideare lo Yoga Ratna , è stato lo studio e la sperimentazione
delle valenze simboliche dello yoga.
Eravamo negli anni 80: frequentai il corso quadriennale di formazione di Riza, istituto di medicina
psicosomatica, volevo capire la relazione fra corpo fisico e psichico. Da lì iniziò il percorso
affascinante che ancora oggi mi interessa. Iniziai una lunga collaborazione con Riza che pubblicò
numerosi mensili con miei approfondimenti monotematici, e grazie agli studi sulla psicologia
junghiana mi sono appassionata ai miti, alle storie delle divinità, alla corrispondenza fra le forme
del corpo nelle asana e i loro echi simbolici.
Mi preme sottolineare che il lavoro simbolico non esce dai canali dello yoga tradizionale, ma ne è
un arricchimento che richiede molto studio e molta consapevolezza nel lavoro su di sé.
Quando hai fondato la scuola Yoga Ratna?
Nel 1991 ho fondato la scuola Yoga Ratna e da allora sono veramente tantissimi gli insegnanti che
portano avanti il mio metodo. Volevo fermarmi a 108 diplomati, come i grani della mala, ma le
richieste sono sempre state tante che sono andata oltre.
E qui si aprirebbe un nuovo capitolo, quello degli anni 90 e del metodo Yoga Ratna. Un bel tema
per un altro incontro. Intanto se puoi definirlo con poche parole
Yoga Ratna significa "il gioiello dello yoga” ho dato questo nome a questo metodo che racchiude
tutto ciò che ho imparato ed elaborato nel corso di tantissimi anni: tutti gli insegnamenti e le
pratiche della tradizione ortodossa integrate da un rigoroso approfondimento del lavoro simbolico,
ossia su come la forma del corpo rappresentata dalla asana viene percepita dal praticante
favorendo il suo percorso di consapevolezza. Ho ideato tante forme studiate sulla base dei
molteplici miti e divinità del mondo indiano, forme che ci consentono di sperimentare tutte le
possibili manifestazioni dell’esistenza.
Mi piace definire lo yoga che mi hai trasmesso come uno yoga democratico laico e non
dogmatico. Mi ha colpita, e confesso che questo è uno dei motivi che mi ha portato ad essere tua
allieva, il tuo modo di porti: accogliente con tutti, generosa, ben distante dalla immagine di guru
inavvicinabili. Questa tua generosità ha anche delle criticità?
Mi ci ritrovo nelle definizioni che hai dato, ho sempre pensato che nello yoga non dovessero esserci
segreti, ho sentito come mio dovere quello di diffondere gli insegnamenti ricevuti e tutto quello che
ho elaborato. Vedo purtroppo che qualche insegnante propone i miei insegnamenti senza citare la
fonte, addirittura sono stati scritti libri utilizzando le dispense della scuola e i miei studi senza
neppure far riferimento allo Yoga Ratna. Questo è il pegno da pagare ma per me , che sono sempre
stata una donna libera, è indispensabile dare alle persone spazio e libertà.

Abbiamo concluso l'intervista con un ricordo intimo che oggi ci ha fatto molto sorridere. Ogni
mese, dopo il fine settimana in cui frequentavo la scuola, e per ben 4 anni, io scrivevo a Gabriella
lunghissime lettere, lettere che mi sgorgavano copiose come se la pratica con lei sciogliesse tutti i
nodi della mia vita. A distanza di trent’anni mi sono scusata con Gabriella per questa mia eccessiva
ingerenza e per l’abuso di pazienza e lei con la sua solita serenità mi ha detto: “le ho sempre lette
tutte, ma povera me se ogni allieva avesse fatto come te”.

Centro Yoga Millepiedi

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